2003/2009 – ALTER EGO SERIES

Il segno nella pittura

Di Giovanni Faccenda

Nel contraddittorio scenario artistico contemporaneo la pittura di Danilo Bucchi risalta per un suo modo di emanciparsi da ogni artificiosa influenza che si suole far derivare dal passato. Quanto emerge dalle tele di questo giovane artista romano è, al contrario, una personalissima cifra pittorica sollecitata, in profondità, da un rilevante contributo segnico, che costituisce l’architettura portante di ogni sua manifestazione creativa. L’intima urgenza che indovini pulsante nella stessa iconografia riecheggia in questi segni, emblematici come fossero cicatrici: ansie e inquietudini, appartenenti a un quotidiano nel quale Bucchi stenta a riconoscersi, riemergono come esito dissimulato al termine di un oscuro processo di metamorfosi. Il colore è specchio nel quale si riverberano effervescenze mai sopite, disillusioni e turbamenti di chi non smette di cercare la verità ultima delle cose in quell ’ ambito esistenziale metropolitano vieppiù disumano, dove tutto accade come nella sceneggiatura di un brutto film, nel quale protagonisti e comparse hanno ruoli instabili, comportamenti ondivaghi.

L’investigazione che Bucchi conduce nelle zone più in ombra della vita è continuamente corroborata dal disegno. Guardando certi suoi taccuini, pieni come le pagine di un diario, o taluni fogli di carta esasperati dall’ inchiostro o dalla grafite, non si può fare a meno di sottolineare questa sua vocazione, nella quale istantaneamente riconosci il temperamento severo dell ’ artista solo con se stesso lungo l ’ impervio versante dello scavo analitico. L ’ uomo e tutto quello che concerne il suo ambiente diventano territorio di ricerca: segno e colore mai indulgono alla tentazione di soddisfare l ’ approccio facile dello spettatore, mentre si compenetrano nella misura più scarnificata e sobria dell ’ immagine.

Bucchi associa a tutto questo un rilevante ordito evocativo, tale da suscitare contributi sensoriali sconosciuti e imprevedibili: riecheggiano, improvvise, nel silenzio del momento in cui guardi le sue opere, note di una musica che ha segnato l ’ inizio o accompagnato l ’ intera fase – non sappiamo – della loro realizzazione. E allora risenti il ticchettio della pioggia sui vetriappannati delle finestre del suo studio, rivedi lui, Bucchi, come isolato dal mondo, dar vita a un altro, di mondi, nel quale non esiste finzione, falsità, ipocrisia, ma soltanto la franchezza, diresti anche spietata , di chi è abituato a scoprire in se stesso domande e risposte che riguardano anche tutti gli altri. La pittura si carica di toni variegati, riesuma odori, colori, suoni, immagini di un tempo sbiadito nel ricordo, ma vivo sulla tela. Non importa essere fini conoscitori delle varie tecniche per apprezzare la qualità di un impianto cromatico che incarna, talvolta, simbologie didascaliche, vivide fra cromie scelte per affermare riflessioni profonde, distinti stati d ’ animo, un incessante colloquio con le più disparate voci dell ’ esistenza… Questo, davvero, è quanto vorremmo trovare oggi in un pittore giovane, estraneo a consuetudini e succedanei che impoveriscono l ’ arte nelle sue correnti espressioni. E questo è quanto finalmente incontriamo nei dipinti floridi di apprezzabili complicazioni con i quali Bucchi soddisfa, anzitutto, una propria esigenza interiore, che lo mantiene distante da pericolosi assoggettamenti, tanto comuni, invece, in molti autori della sua generazione. Ciò che più di tutto distingue, in termini di pregio, la sua ricerca è, appunto, quella singolare tensione emotiva che ritorna in forma subliminale ogni qual volta la pittura – come il disegno – si confronta con la sua dimensione etica, fra incagli, svolte e ripensamenti che, se non altro, dicono di una certa coerenza intellettuale.

Scrive Bucchi:

In secoli di storia dell ’ arte, dove tutto è paragonabile e riconducibile a qualcuno, ed è quindi già fatto, già visto, ho capito che la vera differenza tra un artista visivo piuttosto che un altro risiede nel suo segno primario, quello che nasce in una pagina di taccuino, quello che ha il coraggio per primo di rompere l ’ equilibrio del bianco.La fragilità di un segno risente di più stati d ’ animo tra cui la musica. Quanta responsabilità ha quello che ascolti mentre disegni? Ma se fosse quello che disegni ad emettere un suono?

La domanda resta sospesa come l’ ultima sigaretta sul posacenere la sera in cui ho visto per la prima volta i suoi quadri a Conegliano. Serbo la convinzione del loro valore e della loro autenticità; stupisco ancora oggi di un segno che si fa pittura e di una pittura che torna ad essere segno come per incanto; e ritrovo tutto il talento di un giovane destinato a far parlare di sé per la sua bravura di pittore e disegnatore, e non per aver appeso, in una performance, un fantoccio di carta a Villa Borghese… Forse non esiste un futuro migliore per l ’ arte, ma sapere dell ’ esistenza di un artista come Bucchi aiuta almeno a sperarlo.

Firenze, febbraio 2007.