2011 – THE BLACK LINE – INTERVIEW WITH DANILO BUCCHI BY JEROME SANS

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THE BLACK LINE

Jerome Sans intervista Danilo Bucchi

J.S. Quando e come hai cominciato a fare arte?
D.B. Ricordo da molto piccolo; il disegnare è stato un mio costante compagno di giochi.
Durante gli studi accademici cominciai facendomi notare in spazi non proprio convenzionali: dalla pittura murale in strada a piccole esposizioni in clubs, discoteche, ad allestimenti scenografici, ecc.
Incoraggiato dai miei maestri, a circa 20 anni, cominciai a prendere in considerazione l’idea di dedicarmi con continuità a questo “mestiere”.
J.S. Com’era il primo quadro che hai fatto?
D.B. Era un monocromo nero con una linea rossa che lo attraversava, di piccolo formato, simile ad un taglio di Fontana, artista che ancora non conoscevo, avevo circa 13 anni e avevo trovato in cantina due tele di fortuna, abbozzate da disegni di mio padre e dei tubi di colori ad olio.
J.S. In che modo essere nato e cresciuto in una città di storica come Roma ha influenzato il tuo processo di pittura contemporanea?
D.B. Sai, Roma è una città talmente piena di ogni cosa , barocca, c’è talmente tanto che l’unica cosa che potevo fare nel mio lavoro era asciugare.
Roma mi ha abituato a cogliere l’attimo..
Roma ti alimenta il bisogno di essenziale.
J.S. Come descriveresti il tuo lavoro?
D.B. Il mio lavoro è libertà…, necessario a me stesso…, è egoista e intimo.
È anche il risultato di una ricerca della massima onestà intellettuale possibile. Ho camminato su parecchie strade soprattutto quando ero più giovane. Avevo voglia di sperimentare e l’ho fatto.
D.B. Sapevo di avere una certezza, un mio segno… ma ho voluto metterlo in discussione attraverso le varie fasi di ricerca che si potrebbero definire “cicli”.
Con il tempo sono ritornato naturalmente verso le certezze, ossia il segno, che mi consente di non perdere niente di quei lampi suggestivi che accendono le micce dei miei lavori; utilizzando il bianco, il nero e il segno ho quanto mi basta per esprimermi. Ma se devo veramente dare una spiegazione, posso dire che in realtà il mio lavoro è tutto quello che succede tra me e la tela.
J.S. Nel tuo lavoro sono raffigurati molti personaggi che sembrano giocattoli. Quali sono le fonti dei personaggi e che significato hanno per te?
D.B. Le origini dei personaggi sono in fondo misteriose anche per me. Credo che siano il frutto di una sintesi stilistica tra vita vissuta e immaginata, tra reale ed irreale.
J.S. I tuoi lavori a tratto continuo hanno degli antecedenti storici? Cosa pensi dei disegni automatici dei surrealisti come Andre Masson, dell’espressionista astratto Jackson Pollok e i suoi lavori di dripping o ancora il famoso programma animato della tv italiana “la linea”?
D.B. Certamente si… hanno degli antecedenti storici… è inevitabile essere figli del passato….
Pollock e Masson sono stati grandi maestri del loro tempo, capaci di produrre capolavori di valenza atemporale. Li stimo molto.
Condivido il pensiero di Masson che riteneva che lavorare in ridotto stato di coscienza aiutava l’artista a liberarsi dal controllo della razionalità e ad entrare in pieno contatto con la creatività dell’inconscio e da pittore so che è uno stato difficilissimo da raggiungere ..
Stimo i mezzi stilistici di Pollock.
Per quanto riguarda il programma tv “la linea”, lo trovo geniale e penso sia un incredibile incontro/sintesi tra linguaggio, contenuto e musica che riesce a comunicare in maniera universale.
J.S. Quale relazione hai con la storia della pittura monocromatica?
D.B. Ho una grande stima per i grandi mastri di questo movimento.
È stata una componente importante di avanguardia, un grande spaccato del XX secolo e prevedo lo sarà nel futuro.
I pittori hanno creato l’esplorazione di un colore, l’esame del cambiamento dei valori attraverso una superficie, l’espressività di texture e sfumature che esprimono una grande varietà di emozioni, intenzioni e significati in diversi modi, mezzi e superfici.
Mi relaziono alla pittura monocromatica, con coscienza e onestà intellettuale di quanto è già accaduto nella storia dell’arte, ma di fatto sono un pittore figurativo che ha sviluppato un suo genere figurativo.
Sento l’esigenza di andare oltre!
J.S. Ti sembra di essere in una specie di trance mesmerica quando dipingi? Credi che questo processo permetta al tuo subconscio di portare in superficie dei segreti attraverso il tuo lavoro?
D.B. Tutto inizia con un movimento circolare del braccio che traccia la prima linea che poi continua ancora e ancora e inizia a costruirsi uno stato mentale indipendente, non so se sia trance, autismo o altro, so che ad un certo punto si rompe l’equilibrio del bianco sulla tela, e inizia la costruzione di un nuovo equilibrio. Quando rinvengo il quadro è finito. È in quel momento che lo guardo e il quadro si spiega a me.
Quando dipingo succede che mi distacco da me stesso, dalla realtà, non mi importa più chi sono, cosa sono, mi libero, poi quando rileggo….capisco.
J.S. Hai fatto spesso performances in collaborazione con musicisti, tecnici, ingegneri durante le quali stabilisci una connessione tra tratto e suono. Quando e come hai cominciato queste perfomance e quale ruolo hanno nel tuo processo pittorico?
D.B. L’idea nasce da un quadro che si chiama “tratto da onde sonore”, che è un lavoro che realizzai ascoltando musica in cuffia ad altissimo volume. C’era un tempo ritmico molto alt, 140 bpm, mi incuriosì quanto la musica influenzasse lo svolgimento del quadro. Inevitabilmente mi sono chiesto: e se fosse il segno ad emettere suono? Così è nato il progetto “Reatroazione di un segno di suono”, ma noi lo chiamiamo “sinfonia di immagini”.
Io disegno dal vivo in tempo reale su una carta satinata applicata su un vetro. Un complesso sistema di ripresa video è in grado di leggere l’azione pittorica leggendo sia il tratto che la velocità del movimento.
In regia, i sound engeneers ricevono i dati che trattano attraverso un algoritmo da loro creato per questo progetto e restituiscono contemporaneamente il suono, che viene integrato da un pianista live e il video viene proiettato su uno schermo.
Il risultato è che il pubblico vede l’esecuzione pittorica esattamente dal mio punto di vista, sente e vede quello che io sento e vedo, mentre viene coinvolto musicalmente da ritmi e melodie generate dallo stesso movimento pittorico assistendo all’intero processo creativo.
Con questo progetto riesco a far capire quanta musica contiene un’opera ma soprattutto, siamo riusciti a creare una musica “interna” al mio lavoro e far provare al fruitore quello che si sente nella creazione di un’opera.
J.S. Qual’ è il tuo approccio alla Street Art e in che modo la metti in relazione con i grandi maestri dell’arte monocroma?
D.B. Il mio rapporto con la Street Art è concreto, vita vissuta, ma trovo che non ci sia una grande relazione con i maestri dell’arte monocroma.
J.S. Quali artisti ti hanno influenzato di più e quali sono gli artisti contemporanei ai quali ti senti più vicino?
D.B. Ho una formazione accademica; direi che tutta la storia dell’arte mi ha influenzato.
Dovrei citarne tanti!
Ho un caro ricordo…con mio padre, che era un appassionato d’arte, un giorno ci recammo nello studio di Mario Schifano. Avevo circa 14 anni, fu una grande esperienza; mi colpì in particolare la sua sintesi stilistica, la sua libertà pittorica…..la magia dello studio di un artista e questo mi stimolò e mi fece capire che “si poteva ancora fare “.
Tra i contemporanei sono molti a cui mi sento vicino, mi piace molto la ritrattistica di Francesco Clemente e la scultura di Antony Gormley.
J.S. Hai mai pensato di fare video painting (digitale/analogico)?
D.B. Bèh.. si, pensata e fatta!
Mi riferisco a Retro azione di un segno di suono, la performance che feci nel 2009 a Roma; il giusto peso tra analogico e digitale
J.S. Esiste un progetto che sogni di fare e non hai ancora realizzato?
D.B. Si… molti!!!